Nel 2011 a Londra ho avuto la fortuna di visitare una mostra che ha cambiato per sempre la mia percezione dell’artigianato contemporaneo: “The Power of Making”, organizzata, in collaborazione con il Craft Council, dal Victoria & Albert Museum. Ero lì per altri motivi ma sapendo che una delle opere delle mie artiste preferite, Shauna Richardson sarebbe stata esposta, mi sono precipitata.
Un’emozione così intensa da farmi tutt’ora ricordare arredi, dettagli, addirittura suoni e colori. All’immenso Grizzly della Richardson, che mi sconvolse per i movimenti di tessitura ad uncinetto che seguivano e raccontavano alla perfezione il movimento muscolare, si affiancavano oggetti creati con maestria manuale infinita nati per sfidare luoghi comuni, stupire, cambiare la percezione del craft e presentare le sue motivazioni contemporanee, una sorta di Wunderkammer o Gabinetto delle Curiosità: fra tutti gli oggetti presentati mi ricordo ad esempio le opere di Damian O’Sullivan, architetto che in occasione della mostra presentò una possibilità di protesi mediche innovativa, utilizzando la porcellana, decorata a fiori blu come tradizionale nella produzione artigiana nordica, al posto della comune gomma o plastica grigia o color carne. Questa idea non rappresentava un semplice e divertito esercizio di stile ma suggeriva un ambito diverso ed inesplorato in cui poter esercitare la creatività; un bisogno di bellezza, in un momento di fragilità e malattia, che può diventare nicchia (neanche poi tanto) di mercato. La mostra rappresentò tra l’altro anche la prima volta che vidi, dal vivo ed in azione, una stampante 3D: quella esposta stampava gli stessi pezzi di cui era composta, idealmente autoreplicandosi.
Il curatore Daniel Charny, nella sua prefazione all’interno della pubblicazione sulla mostra, si interrogava sul significato del Making contemporaneo, affermando che “(…) per alcuni è un modo di dar sfogo alla creatività, per altri è definirsi un ruolo all’interno della società, per la maggior parte delle persone, il Fare non ha a che fare con la creatività, ma è semplicemente una necessità, una fonte di sostentamento. Può essere però anche una maniera di apprendere, di sfidare convenzioni e luoghi comuni, risolvere problemi e necessità. Ma il fare ci permette anche di prenderci cura dei nostri cari, manifestare rispetto, ricordo e lutto, celebrare e dimostrare. E’ una maniera di esercitare la nostra (libera) volontà.(…) Una cosa è certa, il Fare non va pensato come qualcosa di appartenente solo al settore delle arti creative, ma anche alla scienza, tecnologia, ingegneria e matematica.” Niente nostalgie per un artigianato artistico e di decoro, quindi, ma una modalità artigianale mentale, quella del “fare bene” da applicare a tutti i processi produttivi.
La mostra New Craft alla Fabbrica del Vapore di Milano, che ho avuto l’ onore di poter visitare guidata dal curatore Stefano Micelli , (invitata dall’exibithion partner Banca Ifis creatrice del progetto Fare Impresa Futuro, che oltre a New Craft comprende Botteghe Digitali, di cui vi parlerò presto) prosegue idealmente il percorso cominciato al V&A: la mostra londinese si era focalizzata sul lancio di un concetto, lanciando stimoli e provocazioni, mescolando artisti, artigiani amatoriali e professionisti e concentrandosi sull’oggetto finale ed alla sua forza comunicativa assoluta, facendo e mostrando esperimenti al limite dell’artistico.
New Craft si pone invece come tappa successiva e probabilmente finale di un viaggio che nel frattempo ha visto i nuovi artigiani mettere in pratica gli stimoli, strutturarsi, collaborare con brand ed aziende, fondare start-up e botteghe innovative, avviare assieme prototipia e produzioni.
Per il mio bisogno di identificare sempre un evento all’interno di un contesto, me lo sono immaginata come un ideale ufficio di progettazione:
la mostra del V&A ha avuto compito di definire il moodboard ed il concetto di una nuova linea di prodotti innovativi, mentre New Craft sviluppa il progetto pensando a target, materiali e metodologia di produzione replicabili e consoni all’azienda, scende tra le maestranze e sviluppa prototipia, collegamento e ricerca fornitori, sdifetto, miglioramento in corsa e lancio produzione finale: rendendo il concetto iniziale tangibile, sostenibile e disponibile. Decisamente una maniera molto italiana di occuparsi di creatività, come molto inglese, nel suo tipico modo di lanciare stimoli al limite del sovversivo, era stata la mostra al V&A.
Attenzione, non si tratta di divisione tra progetto e produzione, testa e braccia, come giustamente affermato da Micelli (e che in questo momento storico che una mostra sull’artigianato sia curata un professore universitario di Economia la dice lunga), ma di un processo molto più complesso e sfaccettato: la progettualità non è più teorica ed astratta ma torna a nascere dall’esperienza di materiali, utensili, innovazioni tecnologiche digitali, migliorando e portando a compimento il manufatto attraverso fasi di lavorazione mai scontate o di pura manovalanza, ma a loro volta aperte ad idee, cambi in corsa e nuove tecnologie.
La mostra, che rimarrà aperta fino a settembre nei bellissimi spazi della Fabbrica del Vapore, racconta attraverso numerosi esempi che spaziano dalla moda alle biciclette, oggetti di arredo, gioielli, utensili da cucina (fra tutti il progetto Vinegraal per il 50°anniversario della Consorteria dell’Aceto Balsamico), l’incontro virtuoso e fruttuoso fra saper fare artigiano, innovazione tecnologica e cultura del progetto.
A differenza dell’esposizione londinese qui anche i processi sono visibili: piccoli laboratori distribuiti nello spazio della mostra (molto coinvolgente quello di stampa letterpress degli amici di Lino’s Type) che rendono visibile il processo produttivo coinvolgendo il pubblico dando valore ad “imperfezioni” e confermando nella possibilità di personalizzazione e varietà la chiave del successo.
Una rivoluzione tecnologica e digitale che fa spettacolo, ed è già una novità, in cui quello che è produzione innovativa, comunicazione social, rete e consumo internazionale ed immediato sta trasformando la progettazione a monte. Una mostra ispirazionale che consiglio a designer, architetti, studenti, autoproduttori, makers, ma anche persone curiose ad ampio spettro, per uscirne ottimisti. Io ho passato il tempo ad osservare gli oggetti esposti da ogni angolazione, scoprendo dettagli geniali, materiali impensati, finiture perfette, citazioni storiche, concetti futuribili, ascoltando l’entusiasmo di Micelli e appuntandomi ogni felice fatica. Una poesia costruita, quasi commovente.
La foto di copertina è di Mariateresa Montaruli.